martedì 15 dicembre 2009

Mai troppo tardi, padre

Marta Ancona
Mio caro padre, non stupitevi di questa mia.
E’ vero che è passato un breve tempo dacché ci siamo accomiatati dopo la lunga sosta presso di voi, con il mio amato consorte e i bambini che vi adorano.
Ma è passato un tempo lunghissimo da quando avrei voluto chiedervi ragione di tante mie sofferenze, senza mai averne il coraggio.
Che io sia, oggi, felice, nulla toglie al fatto che a lungo non lo sia stata. Non ve ne ho mai accennato, perché non volevo ferirvi, e inoltre non avevo chiari dentro di me i contorni dei rimproveri che vi avrei mosso. L’esito della mia storia al dunque non cancella il male subìto.
Eravate, allora, il mio unico bene: come potevo rischiare di perdervi, accusandovi? Ed ero io in grado di poterli formulare con trasparenza e onestà quei rimproveri, con purezza d’animo, con la certezza che questi non fossero inficiati da ombre, sospetti di sentimenti torbidi? No, non mi sentivo in grado, non vedevo chiaro nel mio cuore.

Soffrivo, soffrivo orribilmente, anche se in molti andavano dicendo che cinguettavo tutto il giorno. Cantavo, è vero, ma non per gioia, piuttosto per scacciare l’angoscia dal petto, per non soccombere, e per non farvi pesare, quando tornavate dai vostri lunghi, troppo lunghi viaggi, il mio malessere, che avrebbe potuto, se palesato, indurvi a riprendere altri più lunghi viaggi.
Non c’eravate mai: questa è una colpa o una attenuante? Me lo sono chiesto spesso, e tuttora non so rispondermi. Non stavate mai con me, non ne avevate il tempo, occupato, com’eravate, nei vostri commerci. Vi illudevate forse che la compagnia che vi eravate procurato - e che attraverso di voi avevate procurato a me per interposta persona - potesse saziare la mia sete di affetto, potesse riempire il vuoto immenso che la morte della mamma aveva spalancato dinnanzi a me (e certo anche a voi)?
Io non arrivavo a comprendere come voi poteste essere così cieco da non vedere ciò che accadeva, ciò che mi accadeva.
Mi avete messo accanto persone che non mi amavano affatto, tanto da relegarmi all’ultimo posto tra le priorità. Che parevano invidiarmi e temermi, per il solo fatto di essere vostra figlia, la vostra vera unica figlia! Era così evidente, non fingevano neppure in vostra presenza.
Questo più di tutto mi ha offeso, ferito nel profondo, che non vi siete preso carico, che forse anche voi avete finto. E così, padre? Vi prego, ditemi di no!
Se non fosse stato per gli animali di casa, che sono stati un conforto, un sostegno, una fonte d’affetto senza pari, se non ci fosse stata quella cara donna, che chiamavo la mia fatina, che senza nulla chiedere si è presa cura di me, dispensandomi quasi di soppiatto doni preziosi di bene, certo non mi sarei salvata. E’ stata lei che mi ha assistito, che mi ha fornito gli strumenti per fortificarmi, per credere in me e guardare con fiducia al futuro.
Solo adesso, dopo tanto tempo, ora che mi sento forte, posso chiedervi una spiegazione, sempre che siate a vostra volta in grado di darmene una plausibile.
Sappiate tuttavia che non ve ne vorrò mai, qualsiasi cosa mi diciate, che sarete sempre il mio caro padre, che vi ho comunque perdonato, in anticipo, diciamo così, per partito preso. Non saprei come dire altrimenti per significare la mia assoluta apertura, disposizione positiva.
Spero di ricevere presto un vostro cenno: non occorre che mi scriviate, basterà che veniate a casa nostra, dove sareste accolto ancora meglio di sempre, se possibile.
Vi abbraccio con tutto il mio immutato affetto
la vostra ……., già detta Cenerentola

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