lunedì 7 gennaio 2013

Iniziazione e esperienza in "Dentro" di Sandro Bonvissuto


Patrizia Vincenzoni
Il bello e appassionato romanzo d'esordio di Sandro Bonvissuto è strutturato in tre racconti che costituiscono il percorso esistenziale, presentato a ritroso, del protagonista al quale non viene attribuito un nome, a sottolineare il fatto che l'identità attraversa i luoghi, delineandosi.

 I luoghi sono fisici e psichici allo stesso tempo e la narrazione li articola costantemente in una dimensione spazio-tempo.  La coppia 'dentro-fuori' si fa metafora di un percorso di iniziazione alla vita che, a ritroso, il personaggio compie.    L'uso della prima persona e il linguaggio icastico catapultano il lettore dentro il racconto, articolando esperienza ed osservazione della stessa: la scrittura è essenziale,incarnata.   L'io narrante e la sua affabulazione scarna trasformano le cose, gli atti, i contesti in esperienza attraverso la quale lo sguardo si fa introspezione, riversando nella scrittura pillole di saggezza sapienziale.  La lettura di questo romanzo  è esperienza del reale, ci conduce spontaneamente e ci fa ricontattare quel nucleo di solitudine e sorpresa  di fronte alla vita e al mistero che contiene,  rinunziando,come indica anche il testo,  al bagaglio degli 'a priori' che illusoriamente ci rendono più sicuro il mondo.

Bonvissuto scandaglia l'esistenza del protagonista  - e, in modo non scontato, tocca tematiche che interessano la vita e la riflessione di chiunque anche a livello collettivo-  attraverso tre storie temporalmente  collocate in periodi diversi: adulto in un carcere nel quale il tempo trasborda e  non offre appigli per 'essere' e lo spazio si fa claustrofobico. L'esperienza di sé, vissuta anche attraverso i luoghi, è dettata  dalla violenza di questi e  vivere, resistendo in uno stato di sospensione, diventa scelta di  sopravvivenza.

E' totale l'assenza di legame tra la vita dentro e fuori.  Il muro del carcere, come la biblioteca senza libri, ne sono testimonianza.

Nel secondo racconto le implicazioni emotive-esistenziali di tale assenza hanno dei rimandi : la scuola è il contesto/luogo anch'esso claustrofobico come il carcere, capace di portare via qualcosa di sé.   L'assenza di spazi interattivi vitali, il cortile-agorà vuoto, morto, con la presenza solo dello squallore, anche qui l'impossibile dialettica tra il 'dentro e fuori' è tale ad opera di un confine -un cancello di ferro- impermeabile.

Il banco di scuola che indica un 'noi' limitato a due,diventa un luogo-feticcio, dimensione interpersonale che non sdogana le due soggettività dei ragazzi.

L'ultimo racconto è il compimento, inteso come un nuovo inizio, di questo percorso umano anche se il ciclo di vita è relativo all'infanzia: la speranza prende il posto della disperazione contenuta, omologata,dell'assenza e dell'abbandono. Forse anche a motivo di ciò, si legge questa storia in uno stato di grazia, direi, anche perché è attraversata dalla poesia dell'ingenuità dell'infanzia che costruisce la consapevolezza di sé partendo dal sentire,come scrive l'autore, '”un disagio per aver scoperto in me un luogo interiore, e il suo silenzio metafisico”.  Tale aggettivazione stona sulle labbra di un bambino, sembra quasi che l'io dello scrittore abbia preso per un attimo il posto di questo e le parole restino tali.  In tempo di evaporazione del ruolo e della funzione paterna, il romanzo in chiusura ci offre invece la presenza autorevole e  affettiva di questi, come superamento di una difficoltà personale di andare verso un obiettivo, una spiaggia in questo caso, luogo che è metafora di un altrove inteso non come fuga ma come ricerca di sé attraverso l'altro da sé.

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