lunedì 15 luglio 2013

Il cuscino di Bolaño


In occasione del decennale della morte di Roberto Bolaño, pubblichiamo questo articolo uscito sul "Bo" nei giorni scorsi.

Lorenzo Alunni
Se sentiamo il bisogno di qualche ragione per resistere alla tentazione di leggere uno dei libri di Roberto Bolaño, e se non vogliamo accontentarci di quella genuina indifferenza che riserviamo al 99,9% di ciò che potremmo trovare in una libreria o una biblioteca, il prontuario di buoni motivi per tenersene alla larga offre un’ampia scelta. Ci diremo che Bolaño è oggi l’autore mitizzato per eccellenza, e che dagli autori mitizzati bisogna ben tenersi alla larga, se non si vuol passare per uno di quei lettori particolarmente vulnerabili alle mode. Ci diremo che, oltretutto, ormai è dimostrato che non solo l’autore è stato mitizzato, ma che per farlo ci hanno anche mentito (per esempio sulla questione del Bolaño eroinomane o no), e che la punizione da infliggere a un autore morto ma soggetto a mitizzazione mendace è prima di tutto il non leggerlo e poi eventualmente anche lo sconsigliarlo agli altri, magari senza mai averlo letto veramente.
Ci diremo che l’esplosione di Bolaño nelle classifiche di vendita di certe nicchie del mercato editoriale e nelle conversazioni di certe categorie di lettori snob è una sapiente operazione dello squalo per eccellenza dell’editoria globale, l'agente Andrew Wylie, che per il mondo dei libri secondo alcuni corrisponde a quello che Goldman Sachs o simili è per il mondo della finanza, e basterebbe questo per convincersi a star alla larga dallo scrittore cileno.



Ci diremo che Bolaño è il classico esempio di autore morto di cui ora gli agenti, gli editori, la vedova o l’amante pubblicheranno perfino le liste della spesa e tutto ciò a cui sarà possibile abbinare l’aggettivo “postumo”, e che noi di queste operazioni puramente commerciali non vogliamo essere complici. Ci diremo che non vogliamo essere succubi di un’operazione così aggressiva come quella di Adelphi che sta ripubblicando velocemente tutti i libri di Bolaño, cambiando talvolta nome rispetto alle prime edizioni italiane e rifacendo anche le traduzioni, come se non si fidassero di quelle recenti e già esistenti.
Ci diremo che la mostra a lui dedicata a Barcellona in fondo era decisamente poco interessante e che se uno scrittore è così poco “mostrizzabile” allora vuol dire che tutta questa fretta di leggerne i libri non la dobbiamo avere. Ci diremo che le sue pagine sono piene di quelle che certi studiosi chiamano “deepity”, cioè frasi dall’apparenza profonde e importanti ma che in realtà attraggono una strana attenzione solo per la loro ambiguità (avremo la tentazione di dirci che questa somiglia a una buona definizione di letteratura o poesia ma ce ne scrolleremo presto). Ci diremo che nel suo 2666 il tema del femminicidio viene trattato senza alcun rispetto (eviteremo di dirci che quella infinita elencazione anestetizzante di omicidi di donne è il corrispettivo letterario dell’anestesia a cui le cronache mediatiche ci condannano quotidianamente), e un tema così di moda dovrebbe essere trattato in ben altro modo.
Ci diremo che, con tutta la bella letteratura già esistente e ancora da leggere, un altro salvatore della patria proprio non ci serviva. Ci diremo che i giovani e scapestrati poeti dei Detective selvaggi non scrivono mai mezza poesia, e che i detective non investigano o addirittura non compaiono nella storia, e allora che senso ha? Ci diremo che I detective selvaggi ancora non esiste neanche in e-book, e che leggere in cartaceo un tale volume così grosso è assurda roba d’altri tempi. Ci diremo che, in quanto lettori e conversatori di libri, abbiamo il diritto e forse il dovere di tenerci alla larga da quegli scrittori che si prendono troppo sul serio. Ci diremo che non leggere Bolaño o nascondere di averlo letto sarà un’arma preventiva molto efficace contro quelli che ci accuseranno di essere troppo permeabili alle tendenze del momento: “leggi Bolaño e ancora non hai letto né Balzac né i mistici orientali?”.
Dopo esserci detto tutto questo, potremo sempre chiamare al telefono quel nostro amico e farci ripetere quella storia che ci aveva raccontato, cioè di quando una sera a letto leggeva 2666, poi però si addormentò e, chissà per quale ragione o chissà per quale automatismo inconscio nel dormiveglia, prima di sprofondare definitivamente gli venne da infilarsi quel libro sotto il cuscino, e di come poi la mattina dopo si svegliò, se ne rese conto e si rese conto anche del leggero mal di collo che ne aveva ricavato, visto lo spesso delle mille pagine di 2666, e di come poi quel giorno stesso passò in libreria e per caso sfogliò Tra parentesi, il volume di scritti critici e discorsi pubblici di Bolaño, e di come lesse questa frase, che Adelphi aveva riportato anche in quarta di copertina e che lui non aveva mai letto prima: “Mi commuovono i giovani che dormono con un libro sotto la testa. Un libro è il miglior cuscino che esista”.
E se simili aneddotiche corrispondenze sortiranno su di noi il loro effetto di cancellazione di tutte le ragioni d’indifferenza che ci siamo detti prima, allora ci capiterà anche di vivere dei 15 luglio – quello di quest'anno, per esempio – ricordandoci, a un certo punto della giornata e senza nessun collegamento diretto con quello che staremo facendo nel momento in cui ce ne ricorderemo, che il 15 luglio è l’anniversario della morte di Bolaño, e della sua scomparsa ci dispiaceremo, come ci si dispiace per quelle persone che, paradossalmente e nonostante tutto, ci rassicurano per il solo fatto di essere esistite, e di avere scritto, e di essere presenti nelle nostre sgangherate biblioteche a casa. Ci penseremo dopo aver scacciato con un gesto derisorio tutte le ragioni che ci eravamo detti per non leggerli.


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