mercoledì 12 febbraio 2014

mvl teatro: Malato immaginario imperdibile al Vascello

Maria Cristina Reggio
Si sorride, ci si commuove e si applaude molto di fronte al Malato immaginario che Teatro Kismet OperaA di Bari porta in scena al Teatro Vascello, raccontando la morte di Jean Baptiste Poquelin, alias Molière.  Molière, che ha preso commiato dalla sua esistenza di attore e drammaturgo vomitando sangue per la tubercolosi mentre recitava per lʼultima volta il ruolo di Argante nel suo Malato immaginario.  Teresa Ludovico, regista e autrice del Teatro Kismet OperA di Bari, nella sua riscrittura per Il malato immaginario ovvero Le Molière imaginaire, reinventa lʼultima rappresentazione del grande autore e teatrante francese che si era rinominato femmina (mulier in latino) con sguardo affettuoso e sapienza coreografica, complice la splendida partitura musicale variata e malinconica del Molière imaginaire di Nino Rota, composta nel 1976 per un Ballet Music di Maurice Béjart e qui riarrangiata da Michele Di Lallo per il pianoforte di Cosimo Castellano e il fagotto dello stesso Di Lallo .
Svolgendo il tema del travestimento ispirato dallo stesso Molière, la regista pone accanto al doppio Argante-Molière, una figura, anchʼessa duplice, femminea e maschile al tempo stesso, che continuamente dialoga con lui: è un Pulcinella-Serva (corpo plastico di marionetta e vibranti tonalità vocali partenopee di Augusto Masiello), che apre e chiude il sipario come personaggio burattinesco della commedia dellʼarte per indossare poi a vista i panni (raffinati e colti costumi disegnati da Luigi Spezzatatene) della serva sul palco.  Ciò che più colpisce in questo allestimento visto al Vascello è il ritmo perfetto tracciato dalla partitura musicale, coordinato con la perfetta geometria delle azioni e dei movimenti, mai gratuiti, di tutti i personaggi. Un fagotto e pianoforte che non sono una colonna sonora di sfondo o un semplice intermezzo, ma i cui  timbri  rispettivamente comici, buffi e melodici, disegnano concatenazioni di gesti di una coreografia volutamente a tempo oppure a-sincrona o in contrappunto: come quando un ritmo orchestrato, veloce e divertente accompagna la scena corale del duello, tutta rappresentata con movimenti degli attori in ralenti.  Qui i personaggi, che indossano costumi molto stilizzati e che si muovono lentamente su un palco il cui pavimento è tripartito in altezze diverse, occupano visivamente lʼintero spazio scenico in una scena esilarante che ricorda certe situazioni del burlesque.
La regia dispone un meccanismo estremamente efficace di gesti e movimenti degli attori, senza affidare al caso e allʼimprovvisazione nemmeno un secondo del tempo scenico, cosicché gli stessi attori che entrano in scena o ne escono attraverso semplici porte-botole sul pavimento, appena sono "sotto", ovvero fuoriscena, diventano attrezzisti che porgono gli oggetti a quelli che si trovano sul palco. Il fuoriscena a vista, funzionante come un perfetto congegno a orologeria, ci dimostra che lo spettacolo è frutto di un serio percorso laboratoriale, attento alle specificità e alle risorse fisiche degli attori, taluni ancora acerbi. Le gradazioni stesse di tonalità grottesche che tingono lʼintera pièce  sono misurate sui loro corpi, i cui volti sono tutti dipinti, come maschere, con uno spesso cerone bianco, quasi a ricordare i volti del film drammatico di Ariane Mnouchkine del 1978  La mort de Molière, oppure lʼadamantino video omonimo in HD  di Bob Wilson del 1994. Ma se anche ci fosse la citazione, qui il bianco assume tuttʼaltro senso: non è il richiamo a un colore di morte, ma piuttosto il colore candido della maschera  napoletana che qui ha perso anche il residuo di faccia nera che la distingue per tradizione,  e il cui eloquio ci  riporta al Malato immaginario messo in scena da Peppino De Filippo nel 1972.  Quella di oggi è una bianca maschera di Pulcinella saggia, fedele e petulante come una vecchia donna di servizio affezionata, ma anche tenera come un fratello paziente che, del malato brontolone e risucchiato nella sua grande poltrona, condivide, con affetto e devozione, la vita e lʼamara sorte.  

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