lunedì 3 febbraio 2014

Nebraska: padre e figlio in viaggio nel passato per guardare al futuro

Nebraska (2013)
Regia: Alexander Payne
Sceneggiatura: Bob Nelson
Interpreti: Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Bob Odenkirk, Stacey Keach

Patrizia Vincenzoni

Nebraska e' l'ultimo film di Alexander Payne (che ha al suo attivo Election, About Schmidt, Sideways, Paradiso amaro): un lungo viaggio in automobile che un padre e un figlio intraprendono dal Montana fino al Nebraska, percorrendo quelle strade incorniciate  dai paesaggi rurali e brulli di vegetazione e di aggregati urbani, ai quali la scelta di girare  in bianco e nero si aggiunge come forte e determinante elemento narrativo-visivo. Anche le esistenze ritratte, così anonime, sembrano diventare elementi naturali e necessari di tali ambienti, tanto vi somigliano.
Payne ama rappresentare le vite ordinarie di figure umane  anonime, sapendo cogliere la malinconia di fondo e la staticità delle loro vite, affacciate oltre i bordi della strada dritta che attraversa questi piccoli aggregati urbani, che si ripetono uguali nelle costruzioni e nella logica toponomastica. La demenza senile di cui soffre Woody, settantasettenne ex meccanico ex reduce della guerra di Corea, e la sua irreale convinzione di possedere il biglietto milionario vincente di una lotteria, diventano  l'opportunità per intraprendere il viaggio, un percorso all'indietro, per andare avanti, che rispolvererà frammenti di memoria della vita  vissuta da Woody, esperienza che si rivelerà importante per Will, il figlio. Mettendosi nella condizione di accontentare il padre, intraprende con lui questo tragitto che lo distoglie da un'esistenza spenta e schiacciata sull'abitudine e sulla incapacità a rischiare un benché minimo cambiamento.

Will, inoltre,   riesce a concedersi una tenerezza e un'attenzione verso il genitore che si muove in modo confuso e disorientato, stabilendo con lui un rapporto più alla pari. L'epicentro narrativo è proprio questo legame padre/figlio inteso come possibilità di ricostruire trame di significato laddove non se ne trovavano, celate da un mutismo affettivo che azzera specificità e uniforma le storie personali e familiari.  Questa possibilità si determina gradualmente, mentre attraversano la distanza geografica fra i due stati, intervallo che ha determinato una cesura mnestica non solo 'fisica' ma soprattutto simbolica. Il passaggio ad Hawthorne, città dove Woody è vissuto e si è sposato prima di trasferirsi in Montana, punto di giunzione che vede la moglie e l'altro figlio raggiungerli, ci presenta l'incontro raggelante con il fratello e la sua famiglia, ritratti nella loro immobilità, una fissità dei sentimenti che si coniuga con la realtà dei luoghi e della storia comunitaria e familiare. Il regista non rinuncia a miscelare, riuscendovi, aspetti malinconici e un'ironia amara, sempre in equilibrio fra loro, mostrando inoltre gli aspetti assurdi che fanno parte dell'ordinarietà delle  situazioni umane rappresentate. La sortita in macchina di Woody e dei suoi alla ricerca di ciò che resta della casa natia, abbandonata e mai rivisitata, sottolinea l'importanza di concedersi il ricordo e la memoria trasmessa come testimonianza di ciò che è stato, dono che riattiva e solidifica il legame fra le generazioni, dando al figlio la possibilità di immaginare e ricercare nuove e necessarie prospettive personali.

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