lunedì 24 febbraio 2014

"O Roma! Patria mia, città dell'anima!". De reditu, un viaggio. Prima parte

Copia da La tomba degli Haterii,
ritrovata sulla Casilina
G. Luca Chiovelli

Qui la seconda parte

"O Roma! Patria mia, città dell'anima!"
George Gordon Byron

Le Ferrovie Laziali. Capolinea a lato della Stazione Termini, davanti al teatro Ambra Jovinelli.
Termini-Giardinetti, un viaggio lungo la Via Casilina, l’antica Labicana.
Viaggio al termine d'un Italia sconosciuta e irredimibile.
Il trenino: persino le lamiere trasudano crassume. Appena saliti si nota un tizio, mal rasato, sgarbato, che si spulcia i calzini. Con altri dirimpettai si lamenta d'una certa Rossana. Sono le ultime parole italiane che sentirò. Il treno si gonfia progressivamente di bengalesi, cinesi, slavi, filippini, africani, sudamericani. Gli orientali gigioneggiano tutti con un cellulare: in silenzio, però. Filippine e cinesi sorvegliano i sedili: se costrette all’impiedi, esse, di solito imperscrutabili e senza età come statuette votive, assumono un’aria di sofferente disagio.


Un’africana enorme, alle mie spalle, si duole, pure lei, ma in francese; con un'amica: ne intuisco il controcanto stridulo: entrambe si rimpallano la relazione precisa dei misfatti di un tal Gerard.
Due giapponesi dalla testa enorme come un’anguria discorrono pacatamente: hanno occhiali dalla montatura fine, leggerissima; confermano le frasi l’un dell’altro con brevi ah!, come ad ammettere l’inevitabile, con brevi moti, gentili e consenzienti, dei capoccioni.


Parecchie le donne slave; alcune, più curate, sono accompagnate da maschi pratici e taciturni: gli italiani di trent'anni fa; altre vanno sole, più sciupate, senza trucco, mai sciatte però: tutte vantano lineamenti delicati e finemente cesellati, il profilo perfetto; gli occhi tengono dietro alla durezza del vivere. Non si fanno illusioni, vestono sobriamente: jeans e stivali, maglioni sformati, giacche a vento. Una sorta di divisa sovietica riadattata al tempo attuale dell'esilio capitalista. Gli italiani li si riconosce subito: dalla mezza età in poi fissano il vuoto come a sfogare un'interna disperazione, gli abiti o raccogliticci, o che maldestramente imitano una più alta fattura da griffe pubblicitaria; le palpebre pesanti, la poca cura della persona. Gli anziani piegati, i capelli scarruffati, unti; quelli delle donne mostrano tinte da poco prezzo, già insidiate dalle scoloriture e dalla ricrescita. Gli anziani: trascinano carrelli, buste biodegradabili sformate da scatolame agroalimentare a basso costo, borsette da bancarella; si toccano occhiali economici da farmacia, compulsano ricette mediche, referti clinici in cartelline cartonate; la propaganda del centro privato convenzionato, dai caratteri netti ed esorbitanti, è fitta di rimandi, mail, recapiti, vignette, avatar e acrostici da terzo millennio: fra le mani scarnite di chi non ha nulla da reclamare, se non una morte dignitosa, questa simbologia pubblicitaria si carica della valenza nichilista d’un fregio extraterrestre.
Sepolcro di Marco Virgilio Eurisace, fornaio e della moglie Atistia, presso Porta Maggiore. Silvia Barbetta: "Le cavità circolari regolarmente disposte nella parte superiore ... simboleggiano le impastatrici utilizzate nei forni …”.
Due giovani donne, dal profilo andino, pelle olivastra, capelli raccolti in una crocchia: parlano sommesse, ogni tanto le labbra si aprono mostrando i denti bianchissimi, ma è un attimo di esibizionismo che chiudono subito; riservate e modeste come le italiane immigrate di mezzo secolo fa; abruzzesi, campane, molisane, donne della provincia profonda, proprietarie ancora della lingua d'origine e, quindi, del senso del proprio destino e del proprio passato. 


Il Mausoleo di Sant'Elena. A mano a mano che ci allontaniamo dal centro gli individui si fanno meno interconnessi. Nonostante l’ora pomeridiana scende un silenzio ancor più attonito, rotto esclusivamente dai clangori delle ripartenze e dagli sfiati d'aria compressa dell'apertura porte.
Si susseguono stazioni urbane dai nomi densi d'una storia ormai sfuggita a quella consapevolezza che prima legava tutti: Torre Maura (fundus Mauricius della massa Varvariana), Centocelle, Torre Spaccata, S. Elena, Tor Pignattara …


Tor Pignattara trae questo nome popolare dalle anfore (pignatte) resecate "inserite nel conglomerato cementizio della volta dell'edificio, che avevano lo scopo di alleggerire il peso della gittata" (Silvia Barbetta). Flavia Giulia Elena, moglie o concubina dell'imperatore Costanzo Cloro, e madre di Costantino; convertitasi al cristianesimo, divenne donna piissima; in tarda età si recò in pellegrinaggio nella Palestina; qui ritrovò la Vera Croce: alcune di quelle reliquie sono custodite proprio in Santa Croce in Gerusalemme, presso Porta Maggiore.
Giuseppe Tomassetti: "Del mausoleo di Elena rimane oggi soltanto un piano dell'edificio rotondo con otto nicchie curvilinee e rettilinee alternate, in una delle quali, a levante, è ricavata la porta; e parte della volta rotonda. Nel centro dell'aula e stata costruita la chiesetta parrocchiale moderna, il cui campaniletto è incastrato in una delle fenestre ..."

Le catacombe di San Pietro e San Marcellino, adiacenti al Mausoleo di Sant’Elena. Il Mausoleo, chiuso, è giurisdizione della Sovraintendenza ai Sedicenti Beni Culturali. Delle catacombe, le terze, per estensione, di Roma, si occupa il Vaticano. Sono da sempre interdette al pubblico, salvo qualche apertura occasionale. Il prossimo aprile 2014, però, il miracolo: si potrà visitarle. Lo rende possibile un finanziamento della Repubblica dell’Azerbaigian, forte esportatrice di petrolio; dieci milioni di abitanti, di lingua azera (turca scritta in caratteri latini) e religione musulmana sciita. La loro benevolenza non cristiana renderà edotto qualche romano non indifferente a tali tesori: per la prima volta nella storia, qui, nella sedicente capitale della cristianità.
Un monumento labicano ai caduti: “Balza dal nostro cenere come da rovine antiche la gloria immortale della patria
Quante incisioni abbiamo letto d'eguale retorica? La Patria ... Il Risorgimento, la Repubblica Romana, la Prima Guerra Mondiale, la Resistenza ... targhe, cippi, monumenti ... Incomprensibili ... Li si ammirava senza capirli ... Diciamola tutta: quella prosa, letteraria e monumentale, era noiosa, goffa, turgida, addirittura fascista ... Ma le serpentine rotazioni della storia impongono beffarde la riconsiderazione ... Credevate che il male si fosse scordato di noi? E la fame, le malattie?


Scrive un economista, Alberto Bagnai:”Anch'io sto capendo tante cose. Sì, era bello essere beati. Era bello guardarsi indietro e non capire, non immaginare cosa avesse potuto portare all'affermarsi dei totalitarismi, all'esplosione della violenza, era bello non capirlo. Ora possiamo solo continuare a non condividerlo, in modo sempre più astratto, perché purtroppo come sia stato possibile lo capiamo, e per capirlo basta aprire gli occhi”. 
La torre di Centocelle. D'essa tratta un capolavoro sconosciuto della letteratura italiana: La campagna romana antica, medioevale e moderna di Giuseppe Tomassetti (1848-1911). Un’opera cresciuta a sette volumi, monumentale, fitta di citazioni erudite, ricostruzioni storiche, giuridiche, filologiche. Ecco Tomassetti parlare di tale edificio: “La torre di Centocelle è una robusta costruzione del secolo XIII in selci, con qualche marmo. È quadrata, è alta circa 25 metri, ha quattro piani di fenestrine rettangolari con cornici di marmo: è coperta di tetto e nel lato sud vi sono ancora resti di mura del grande antemurale o recinto, che e riprodotto nella pianta del catasto di Alessandro VII, di Innocenzo Mattei, del 1628”.


Un lavoro immenso e commovente; quando Tomassetti scriveva (fine Ottocento) questa torre meravigliosa vantava un tetto, ora diroccato.
Il tempo segna le opere dell’uomo e le rende vane, allo stesso modo delle sue testimonianze disperate.
Cappella di Santa Maura. Dalla Porta Maggiore sin oltre la torre di Centocelle v'era un latifondo imperiale. Tomassetti: “Qui difatti ci troviamo nel centro dell'immenso latifondo imperiale labicano del secolo quarto, detto Subaugusta, che si estendeva dalla chiesa di S. Croce in Gerusalemme (Sessorianum), fino a Centocelle, comprendendovi tutte le ville e tutti gli orti Epafrodiziani, Torquaziani (poi riuniti nei Variani), Epagaziani e Daduchiani, e quivi trionfava il mausoleo destinato ad accogliere la madre di Costantino …". La madre di Costantino: Flavia Giulia Elena Augusta. "A circa cinquanta metri sulla destra della via [Labicana; altezza Via di Torre Spaccata], sorgono i resti di un edificio a fasce di tufi e mattoni, con abside centrale, con abside centrale in un muro rettilineo, con tracce dell'intonaco e con vasi nella volta. E l'avanzo di una chiesa, al quale si conviene meglio il nome di Cappella S. Maura ... Per spiegare questa denominazione giova ricordare il fundus Mauricis della massa Varvariana nel patrimonio Labicano del Reg. Di Gregorio II”.


Via di Torre Spaccata: un campo nomadi. O un accampamento di poveri. Simile ai resti di un villaggio indiano smembrato dalle artiglierie e spazzato da una carica di cavalleria. Le stoffe lacere dei teepee sbattono al vento della distruzione. In fondo, cosa c'è di diverso? Italiani, indiani, zingari: spossessati di senso, rinchiusi nelle nostre riserve territoriali e mentali, quale scelta abbiamo se non quella del conformismo? 
Vae victis!
Il Muraccio di Santa Maura, di epoca imperiale. Torrette medioevali, tombe, sepolcri romani, casali quattrocenteschi: tesori che abbondano sulla via Labicana/Casilina; spesso diroccati, assediati da costruzioni recenti o nuovissime, sempre mal tollerati entro recinti e reti metalliche. Questi reperti, queste strazianti rovine del passato che io amo profondamente: che senso hanno? Sembrano residui d’un fragile castello di sabbia che una mareggiata abbia livellato a fondo lasciandone qualche mozzicone; e se fossero i lasciti d’un mandala sacro che il tempo o un dio sapiente s’incarica di devastare definitivamente per ricordarci la totale inutilità dell’esistenza? Non dovremmo rassegnarci, in tal caso, alla loro giusta perdita?
Via di Torre Spaccata. Lo sterro per nuove costruzioni. La campagna romana, luogo d’incanto, schiantata dall’avanzare di un progresso incomprensibile. Qui non c’entra l’ecologismo, la cultura, l’amore per l’archeologia. Qui si avverte netta una psicopatologia: progredire per progredire. Marlow, il protagonista di Cuore di tenebra rimane annientato dalla futilità operosa dell’uomo occidentale: tra le altre inutili macchinazioni egli nota “una grande fossa artificiale … lo scopo della quale mi fu impossibile individuare …”. Qui lo stesso: una ferita nel terreno, rigonfia d’acqua; attorno già sorgono palazzine nuovissime e sciatte, destinate alla disfatta materiale entro qualche decennio. Future città fantasma, inabitabili fisicamente e psicologicamente, fomiti di malattie mentali; relitti postmoderni che non hanno da testimoniare nulla se non l’insensatezza di qualsiasi disegno che non sia quello di una voracità che nutre se stessa.
La Torre Spaccata, lungo l'omonima via. Stefano Vannnozzi: “L’edificio conosciuto dalle fonti medioevali come il Palazeptum (palazzetto) era parte di un antico fondo denominato Favarolum (XII-XII sec.). Nel XIV secolo la tenuta con il casale torre passò allo scomparso monastero delle monache di S. Eufemia in Roma da cui prese la denominazione di Palaczetum S. Heufemie (palazzetto di S. Eufemia) ... La torre medioevale [sorge] su sepolcro a tempietto di epoca Antonina …
L'entrata, dissestata, ma aperta all'occhio, di un vecchio casale. Una cosa è subito notata durante queste escursioni: la totale mancanza di libertà. Reti, divieti d'accesso, muraglie di cemento, cancellate, altane, sbarre, telecamere: una fittissima rete di proprietà private, ribadite da epigrafi terroristiche, e sorvegliate dalla manovalanza dei nuovi mercenari: guardie giurate, guardie notturne, cani da guardia, portieri, sentinelle, videocamere, sistemi antifurto.
La bellezza, proprietà di tutti, è sempre più accerchiata, difficile da fruire. Le impronte del passato, senza cui non possiamo esistere come uomini, appassiscono lentamente, si sbriciolano, come residui di fioriture rare e delicate soffocate da nuovi paesaggi transeunti, orribili, plastificati, pensati per essere cestinati in pochi decenni, le cui rovine sono precluse, geneticamente, all'ammirazione di coloro che verranno.

- Giuseppe Tomassetti, La campagna antica, medioevale e moderna, III, Via Cassia e Clodia, Flaminia e Tiberina, Labicana e Prenestina, Olschki, 1979
- Silvia Barbetta, Via Labicana, Istituto Poligrafico dello stato, 1995
- Stefano Vannozzi, Torre Spaccata

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