giovedì 13 marzo 2014

L’uomo che rubava grammatiche giapponesi. Tre tipi di ladri. L'autore si discolpa brillantemente

Tommaso Cicolini

Una biblioteca comunale di Roma nord. Periferia, al limite del suburbio.
Chiedo: “Cosa si ruba nelle biblioteche comunali?”
“Il Trovaroma di Repubblica, sicuramente”.
“Davvero? E poi?”
“Quattroruote”.
“Ancora?”
“Tex, il Corriere della Sera, Focus”.
La fonte è certa. A parlare, infatti, è una bibliotecaria comunale; una di quelle vere, una giovane donna che ha affrontato lunghi anni di studio e addestramento per acquisire la tempra e il cipiglio necessari a diventare, abbastanza incredibilmente, una bibliotecaria comunale.
Insisto: “Sì, benissimo, ma poi?”
“Dimenticavo: siamo stati oggetto di circa venti furti con scasso ... venti. Come? Da quando? In un anno circa ...”
“Mi sembra gravissimo. Computer, stampanti, enciclopedie ... merce di valore ... un danno enorme ...”
“No, no, nulla di tutto questo. Entrano per scassinare la macchinetta del caffè ...”
“La macchina del caffè?”
“E delle merendine”.
“Ho capito”.


“Abbiamo visto i filmati di sorveglianza. Lo stesso tipo di sempre. Arriva di notte, berretto calato sugli occhi, entra con facilità irrisoria, ammolla due scossoni alla macchinetta e si prende venti o trenta euro ... in tutto impiegherà circa trenta secondi, al massimo quaranta ...
“Mmm ...”
“Viene a intervalli regolari, ogni tre settimane circa”.
“Segue i corsi lunari?”
“Non saprei”.
“Ma subite anche furti tipici di una biblioteca?”.
“Gli spazzolini del bagno, la carta igienica, le saponette, la tavoletta del wc ... siamo stati costretti a mettere la chiave della toilette al front office così sappiamo chi usufruisce dei servizi”.
“Benissimo, ma i libri li rubano?”
“Sì e no”.
“Più sì o più no?”
“Soprattutto testi legati agli esami universitari: medicina, arte, scienze sociali. Le scienze sociali vanno forte. Ma i libri proprio, no, interessano poco. Solo quelli di utilità, per lo studio”.
“Testi classici, letteratura inglese, narrativa russa ...”
“No, macché”.
“Ricciardi, Utet, Olschki?”
“No”.
“I Meridiani di Shakespeare?”
“No, no. Forse La locandiera ... va forte fra i ragazzi delle medie ... ma neanche quella ... la restituiscono sempre. Una volta, al culmine della febbre, spariva Dan Brown ... arrivammo ad averne cinque copie ...”
“Stephen King? Connelly? Francesco Piccolo?”
“Non danno problemi. Forse un Camilleri qua e là, ma è in ribasso pure lui”.
"Un bel furto me lo ricordo". Nel discorso interviene un utente. Alto, segaligno, occhialuto, capelli brizzolati a spazzola, ribalda mancanza di decoro borghese nel vestire; sta seduto con la gamba mancina accavallata su quella destra, il volto animato da un sorriso divertito: le lunghe dita delle mani nodose sono intrecciate come vimini attorno al ginocchio sinistro, in una rilassata composizione yoga. Interloquisce amabile: “Sì, un bel furto me lo ricordo ... l'intera opera omnia di Freud .... sparì da una biblioteca del centro qualche anno fa ...”.
“Qualcuno interessato alla lettura, finalmente”.
“Eh no, non la vedo a questo modo ... credo più a una sottrazione libraria per intenti d'arredamento ... uno studio di psicologia appena aperto ... sì, sì, la Bollati Boringhieri fa un certo effetto schierata nei suoi dodici volumi ...” infierisce ridendo a tutta dentiera.
“Ma come hanno fatto a rubarla?”
“Come al solito: un po' alla volta ... tanto, chi se ne accorge ...” ridacchia ulteriormente.
“La lettura e la letteratura sono, insomma, al nadir della considerazione ...”, argomento.
“Così pare. Mi ricordo, peraltro, di un altro furto, avvenuto su scala cittadina ... un furto parecchio interessante; e istruttivo - istruttivo almeno - come dire? - da un punto di vista eminentemente psicologico ...”
“Mi dica ...”
“Sparirono tutte  le grammatiche e i dizionari giapponesi da parecchie biblioteche della città”.
“Mi suona incredibile”.
“Ah certo, eppure è la verità. Io stesso ho controllato”.
“Me lo conferma?”
“Eccome!”
“E cosa se ne facevano di tutte le grammatiche e dizionari giapponesi?”
“Secondo me era un solo ladro”.
“E cosa se ne faceva, questo ladro, di tutte le grammatiche e dizionari giapponesi?”
“Non ne ho la più pallida idea!”
“E il ladrocinio librario più singolare che abbia mai sentito”.
“Sicuramente. Tenderei ad escludere un giapponese, comunque”.
“Intuizione ottima. Il cerchio si stringe”.
“Forse un cicerone. O uno studente di lingue orientali”.
“O un cinese vendicativo. O un reduce da Pearl Harbour, chissà”.
“Oppure solo un tizio bislacco. Le biblioteche, come le stazioni e i cimiteri, attirano gli individui borderline”.
“Su questo non ho dubbi. Ma perché stazioni e cimiteri?”
“Ovvio, sono luoghi di passaggio”.

* * * * *
Se esiste una malformazione dello spirito umano che muove il mio sdegno, quella è la tendenza al furto. E quella che raddoppia la mia riprovazione morale è il furto di libri.
Tale devianza dell'anima infiamma così il mio cuore da ingenerarvi le voglie più terribili di punizione e destare l'immaginazione di pene e sofferenze sadiche ; i ladri e, soprattutto, i ladri di libri vanno esclusi dal consorzio umano e bollati con il marchio della crudeltà: come si può, infatti, separare un libro dal proprio genitore? Non è tale atto non dico biasimevole, ma sintomo d'un cuore efferato? I ladri di libri, insomma, vanno additati alla vituperazione più truce.
È, però, assolutamente vero che queste canaglie recano gradi diversi di colpa.
I peggiori sono i bibliocleptomani nababbi: i collezionisti, i bibliomani, i riccastri soverchiati da un impulso incontrollabile, ma svincolato dall'amore verso il contenuto spirituale che il libro stesso racchiude. Quasi sempre tale perversione muove dal desiderio del libro in sé, quale opera d'arte: la preziosità delle rilegature, l'erotìa sottesa al vestimento, la ricercatezza o la nettezza dei caratteri grafici; oppure la pulizia delle pagine, liberate dall'onere dell'interlinea grazie all'ampia spaziatura dei margini; o la bellezza incontrastabile d'una miniatura o d'un illustrazione; e non citiamo gli exlibris, le dediche, le annotazioni a margine di pensatori insigni et cetera
Diverso è il caso dei bibliocleptomani sostanziali: costoro, pur non indifferenti alla bellezza dei volumi (ovvio), rubano libri perché innamorati della pregnanza del contenuto o dello stile d'un autore; il tizio sorpreso a sgraffignare trentadue Simenon trentadue (Biblioteca Adelphi) presso una celebre catena romana di bookstore (i volumi erano dissimulati entro ingegnose tasche interne dell'impermeabile) rimane uno degli eroi di tale nobile parafilia.
C'è una buona edizione, insomma, ma c'è pure Georges Simenon.
Applausi al Nostro!
Bravo!
E io?
Per quanto mi riguarda non ho mai rubato libri. Li ho solo eclissati (per sempre, lo confesso) dalla coscienza del proprietario, ma questo non è certo equiparabile al furto, almeno nel mio caso.
Capisco.
Comprendo.
Qualcuno di voi già rumoreggia. Altri potrebbero essere disorientati da tale affermazione, specie alla luce di quanto detto poco prima. Mi basteranno, tuttavia, poche righe per render temporanei disappunto e sconcerto e farli svanire come uno sbuffo di fumo al vento della logica.
(Attenti, però! Dovete seguirmi per bene).
Appartengo infatti a un terzo tipo di ladro: il robiniano.
Tanto nobile da non essere neppure ladro, ma un paladino arturiano.
D’altra parte Rinaldo non aveva notoriamente la mani lunghe?
Andiamo avanti. Da sempre sono mosso da un sentimento di giustizia inestinguibile, e il motto "ruba ai ricchi per donare ai poveri" significa al mio cuore più di qualsiasi altra mozione dell'animo; il caso, tuttavia, (e qui, son certo, i maligni insinueranno il coltello della maldicenza), vuole che il sottoscritto si ricomprenda (per quelle giravolte della sorte su cui una pur ferrea onestà d'intenti non ha presa) nella categoria dei poveri; quasi sempre, quindi, per una spietata concatenazione logica a cui non sono in grado d'opporre sillogismi validi, dono il bentolto a me stesso. Uno schema che applico anche ad altra e volgare oggettistica (vestiti, granaglie, confetti, companatico, latte, scarpe, carta moschicida), ma sempre in ossequio all'aurea legge summenzionata, da robbing hood, la cui valenza, già eterna, riceve, in tempi d'austerità, l'ulteriore sublimazione dell'afflato evangelico.
Ma tali ultime minutaglie non servono che ai bisogni squallidi e ineludibili dell'esistenza. È il libro, e solo il libro, a muovere il desiderio. Il libro, il libro, il libro! Devo insistere? Quella regola è tale solo per il libro; solo per noi, cacciatori di libri di un nuovo ordine: i robiniani, appunto.
Rubare ai ricchi, grassi, bibliotecari, agli opulenti antiquari, ai fortunati e distratti possessori di archivi patrizi per donare ai poveri: ovvero a noi, pauperisti della copertina rigida e dell'edizione cucita.
Perché noi, amanti del bello e del ricercato (ma, attenti!, non dell'inutile sfarzo) dovremmo ridurci a godere di brossure e edizioni infami che, appena dischiuse, s'arricciano come penne d'una gallina scarruffata?
Cosa? Ladri? Giammai! Rifiuteremo sempre tale qualifica, come detto; sono l'amore e il bisogno, come detto, a trascendere tale volgare qualifica e a nobilitarci quali templari della parola scritta.
Chiarite tali fondamentali differenze, la mia coscienza, ne son sicuro, ai vostri occhi risulterà monda da qualsiasi senso di colpa; e il mio cuore vivificato da un sentimento schietto ed equanime che rischiarerà il cammino della vita futura, spesso incerto e accidentato: in ispecie di questi tempi bui e calamitosi.
Viceversa sono stato vittima (vittima!) di furti, questi sì, odiosissimi:
Precetti di rettorica e poesia dell'abate Antonio Adami (1800 circa; ah, che bella legatura!).
La prima edizione italiana di Viaggio al termine della notte (1933).
Il primo volume de Le presenze invisibili. Tutti i racconti di Philip K. Dick, edizione cartonata.
Tre (diconsi tre) affronti che porto nel costato come un Cristo in Croce e che, al solo ricordo, cominciano a pulsare quali cicatrici d'antiche pugnalate.
Che dire? Nessuno me li potrà restituire. È vero che già da adesso sono in caccia per procacciarmi una copia identica dei figli perduti, ma i nuovi arrivi saran sempre figli bastardi, impossibilitati a sostituire loro, quei teneri frugoletti strappati alla mia ala paterna, alla mia stessa carne!
Un libro, infatti, pensateci bene, è unico.
Ogni volume della biblioteca non è che il tassello di una vasta e complessa costruzione: la nostra vita, in ultima analisi. E ognun d’essi risalta quale segnalibro d'una stazione dell'esistenza, con il carico di storia che si porta appresso.
Ogni libro, per chi ama i libri, rimane insostituibile.
Devo aggiungere altro? Chi ha subito lutti ... questi lutti ... ah, solo al rimembrarli ho un groppo in gola ... ci si comprende, insomma. Chissà, magari qualcuno di voi potrebbe aiutarmi  a lenire il dolore ... siete persone di buon cuore ... in caso positivo lasciate il vostro recapito in calce. Sarò felice di recare visita a Voi e alla vostra biblioteca ... senza impegno ... solo una conversazione fra amici ...
Un saluto

Sincerely yours

Tommaso

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