martedì 13 maggio 2014

Post-diario di una dannata del Lingotto

Maria Teresa Carbone
Il Salone del libro è davvero la camera ardente della cultura italiana, come scrive qui sotto il nostro fustigatore preferito Gianluca Chiovelli, il quale - sospetto - al Lingotto non ha mai messo piede? Ma no, naturalmente, se non altro perché con la cultura ("l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo", Treccani.it) la benemerita fiera torinese non ha niente a che fare. 
E', appunto, una fiera, dove la maggior parte della gente va  per vedere dal vivo bestie che altrimenti si sognano soltanto (o si guardano attraverso lo schermo di vetro della televisione) e magari, se capita, per comprare quegli stessi oggetti - libri, per lo più, ma non solo - che potresti trovare all'edicola d'angolo o ricevere a casa con lo sconto ma che qui si arricchiscono di fatica, di sudore, sono pronti a diventare ricordi. Forse le due ragazzine sedute davanti a me sul Torino Porta Nuova - Genova Brignole delle 18.12 di sabato 11 maggio avevano bisogno di sciropparsi trecento chilometri andata e ritorno per mettere le mani su La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano nel  formato verticale Flipback lanciato da Mondadori come una gran novità? Evidentemente no, ma vuoi mettere l'avventura di essere andate, DA SOLE, al Salone del libro? 
Detto questo, parliamo della edizione 2014 senza avere letto i trionfalistici comunicati ufficiali e basando questo breve post-diario sulla non sempre entusiastica, ma assidua presenza a quella che, con buona pace del nostro Vlad Tepes, è la più importante manifestazione editoriale (attenzione: editoriale, NON culturale) italiana. E a questo punto, beh, se lo stato di salute della nostra editoria si rispecchia nella cinque-giorni del Lingotto, non si può dire che siamo messi bene.  
Anche se gli organizzatori hanno fatto di tutto per nasconderlo, scombinando quello che da anni era l'assetto tradizionale della fiera e riempiendo gli spazi vuoti con una serie di contenitori inutili, il calo delle case editrici è evidente e i piccoli editori indipendenti non hanno avuto gran vantaggio dall'essere stati più o meno assemblati nel padiglione 1 (anche perché sotto l'etichetta dell'indipendenza sono state inserite pure sigle di scarsissima qualità). 
Insomma, qui come in una qualsiasi libreria di catena, i grandi gruppi (Mondadori & co., la galassia GeMS, Giunti, in misura minore RCS) occupano - anche fisicamente - il centro della scena. E a fare rumore sono le alleanze fra i colossi: l'accordo di Amazon con Giunti, le cui librerie ospiteranno il Kindle e la vendita degli ebook, o il passaggio almeno parziale di PDE da Feltrinelli a Messaggerie, che coincide con il quasi-monopolio di quest'ultima nel settore della distribuzione. 
Molto si è scritto sulla scelta della Città del Vaticano come paese ospite 2014 (l'anno prossimo sarà la Germania,  a quanto pare è tramontata l'epoca in cui il Salone del libro metteva in primo piano le minoranze etniche e linguistiche con la rassegna Lingua Madre, ridotta ormai a una larva di se stessa),. Meno si è sottolineato che il grande cupolone fatto di libri non occupa una superficie molto maggiore della sezione Casa Cook Book, dove file di visitatori si accalcano per degustare gli "assaggi verticali" di Voiello, main sponsor del Salone. Cosa ne direbbe Vlad/Gianluca!
Eppure, qualche fascino la fiera del Lingotto ce l'ha. Per chi si occupa di editoria, è - come tutte le fiere professionali - un'occasione di incontri utili (a volte anche piacevoli). A chi ama leggere dà l'opportunità di trovare in uno stesso spazio i volumi di case editrici che nelle librerie normali sono penalizzate. Marchi piccoli e coraggiosi come la giovanissima "sudamericana" Sur o come Quodlibet affrontano le spese - ingenti - della trasferta torinese per mantenere un contatto diretto con i lettori. Altri,  è il caso per esempio di Orecchio acerbo, quel contatto lo cercano restando a casa e organizzando qui i loro incontri. Applausi, per gli uni e per gli altri: fare buoni libri oggi richiede intelligenza, determinazione, audacia e soprattutto la convinzione che no, la cultura non è morta e non è ora di allestire camere ardenti.

1 commento:

  1. mia cara maria teresa, concedimi il cara anche se non ci conosciamo...un consiglio per il prossimo anno...andare a bologna, anzichè a torino, in una fiera in cui sicuramente si parte dal basso...dai bambini (anche se ahimè da qualche anno il loro accesso in fiera è stato proibito...Si proprio il loro occhio e in generale i cinque sensi più diretti e "puri" son stati "esclusi")... In una fiera ricca di colori e di begli "incontri", anche un "coccole e caccole"...può dire la sua!!! -

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