mercoledì 4 febbraio 2015

Una macchinetta per il caffè a Teramo. Gadda in viaggio

In attesa della conversazione con Andrea Cortellessa sul Giornale di guerra e di prigionia di Carlo Emilio Gadda (sabato 14 febbraio, ore 11, Plautilla), riprendiamo da Alfabeta2 la recensione di un saggio di Giovanni Palmieri, La fuga e il pellegrinaggio, su Gadda e i viaggi. 
 

Giorgio Mascitelli
La letteratura di viaggio, e specialmente il sottogenere del reportage, ha costituito un campo di prove significativo per quegli scrittori novecenteschi che hanno saputo affrancarsi dal pittoresco. Benché non manchino ancora oggi esempi interessanti di questo genere letterario, l’evoluzione dell’industria culturale da un lato e lo sviluppo del turismo di massa dall’altro hanno forse compromesso, o quanto meno mutato, il patto narrativo che vigeva tra il lettore e lo scrittore dei mirabilia itineris in una direzione consumistica, peraltro colta in anticipo da Baudelaire, come nota Giovanni Palmieri nel capitolo iniziale del suo libro su Gadda e i viaggi.
Dunque anche Gadda, segnatamente negli anni Trenta, si dedica alacremente a questo tipo di letteratura, anzi a essa viene concretamente delegata la speranza di realizzare il progetto di vita di fare della scrittura una vera e propria professione, abbandonando l’odiata ingegneria. Infatti, le prose di viaggio hanno prevalentemente come destinatario le terze pagine di quotidiani e, in parte, subiscono le vicissitudini che il giornalismo riserva ai suoi testi. Questa circostanza, tuttavia, non deve far pensare a una scrittura d’occasione tutto sommato minore, come del resto testimonia il fatto che le prose relative alla crociera mediterranea, apparse su L’ambrosiano, vengono incluse in un libro maggiore come Il castello di Udine; ciò sia perché nella poetica gaddiana il frammento può assumere un valore centrale, laddove nel dettaglio narrativo anche minimo è possibile cogliere una delle disarmonie che rendono caotico il mondo a livello macroscopico, sia per il particolare valore simbolico e psicologico che l’esperienza del viaggio assume per Gadda.
Non è un caso, in questo senso, che le prime prose di viaggio risalgano alla transitoria emigrazione in Argentina del 1923-24 e siano scritte senza un committente sicuro, tant’è vero che troveranno un loro sbocco editoriale solo negli anni Trenta, molto tempo dopo il rientro in Italia e verosimilmente dopo una loro rielaborazione. Non si tratta dunque di testi d'occasione, così come il viaggio argentino non è dettato semplicemente da ragioni pratiche o da un generica voglia di conoscere il mondo, ma sembra affondare le proprie motivazioni, almeno parzialmente nel “desiderio di staccarsi dal circuito nevrotico della famiglia e in particolare della madre..” ( p.69)
Da un punto di vista stilistico i reportage hanno tratti largamente convergenti con i testi canonici dell’espressionismo gaddiano, e ciò causò loro qualche disavventura editoriale, qui ricostruita ricostruita con attendibilità filologica, come peraltro la genesi dei singoli articoli. Indicativo a questo proposito è la corrispondenza da Teramo, nell’ambito dei reportage abruzzesi per La gazzetta del popolo e confluiti poi ne Le meraviglie d’Italia, che appare solo in volume: nell’articolo, lungi dal parlare della città, Gadda descrive la propria stanza d’albergo e una macchina da caffè con grande raffinatezza, ma certo fuori dai canoni anche del giornalismo letterario da elzeviro.
E tuttavia il motivo specifico di questa consonanza formale con i romanzi e i racconti più noti è da rintracciare, e sia detto tra parentesi costituisce il motivo di interesse di questo studio anche per il lettore non specialista, nella polarità asimmetrica con cui l’Ingegnere si accosta al viaggio sia nella sua dimensione effettiva sia in quella letteraria. Il viaggio, cioè, ha per Gadda una dimensione tanto etica quanto onirica, immaginifica o per meglio dire “il viaggio scritto di Gadda oscilla perciò, con componenti variabili e spesso conflittuali tra loro, tra il viaggio disetico, fine a se stesso e sognante, dei simbolisti, e il viaggio etico finalizzato a conoscere e costruire il mondo” ( p.269). Il rapporto tra queste due concezioni, al tempo stesso umane e letterarie, non è solo conflittuale, ma anche di stretta sussidiarietà: se, infatti, è facile individuare nella fuga sognante una traduzione lirica della compulsione alla fuga dal male oscuro gaddiano e dai suoi luoghi, il richiamo al pellegrinaggio etico è una sorta di movimento complementare di risarcimento al senso di colpa nato dalla fuga.
In questo senso nelle prose della crociera mediterranea, le più tese alla dimensione sognante e immaginaria, emerge un nazionalismo nevrotico, e forse altrettanto compulsivo dell’inclinazione alla fuga trasognata, allorché il viaggio porta il viaggiatore in località contrassegnate da una memoria patriottica, specie se relativa alle italiche conquiste coloniali e alla Grande Guerra. È chiaro che ci troviamo in un territorio gaddiano vicino alle linee di tensione che animano anche le opere più note e perciò alcune delle conclusioni interpretative di Palmieri sembrano essere feconde anche per la lettura di altri testi dell’Ingegnere.
In particolare, l’emergere di una marcata sensibilità simbolista nella tensione al viaggio, attestata nelle preferenze letterarie anche da un libro quale I viaggi e la morte, si rivela essere una matrice modernista del barocco gaddiano. Se a livello interpretativo il ruolo delle fonti classiche ed espressioniste e il grande modello manzoniano sono stati scandagliati compiutamente, questo libro, in alcuni casi, individua anche un altro terreno di ricerca in quella “maniera simbolistica” a cui Gadda stesso accennò e di cui si servì nella costruzione stilistica di molte sue opere.
Giovanni Palmieri
La fuga e il pellegrinaggio. Carlo Emilio Gadda e i viaggi Giorgio Pozzi, 2014, pp. 324, € 17,00

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