mercoledì 12 agosto 2015

La poesia del giovedì - Guilhelm Figueira, Roma ingannatrice di tutti i mali guida

Un sirventese provenzale (occitanico) scritto nel clima antiromano, anticlericale e antifrancese seguito ai massacri delle crociate contro gli Albigesi (a Bezier, il 22 luglio 1209, furono uccisi fra i 7000 e i 20000 eretici).
L'invettiva contro il covo di vipere romane è dura e giustamente celebre, ma non è questo che ci interessa.
Ciò che interessa è che, fra il 1227 e il 1229, un tolosano, Guilhelm Figueira appunto, potesse già esprimere posizioni nettamente ghibelline (contro il Papa e a favore dell'Imperatore Federico II di Svevia) e un intransigente moto dell'anima, dettato dal disgusto verso la cupidigia e l'odio che originarono le stragi; un moto del cuore (e della ragione filosofica) che, qualche decennio più tardi, si ascriverà ai grandi poeti italiani: fra i sommi, Dante, e il primo amico e iniziatore di Dante, Guido Cavalcanti.
Nel seno dell'Europa, segnato tragicamente da tali eventi, sorgevano, insomma, potentissimi aneliti alla palingenesi spirituale e alla genuinità del primo Cristianesimo.
Da tale punto di vista non sono infondate quelle ipotesi, pur minoritarie, che vedono nei poeti ghibellini italiani una sorta di setta politico-spirituale che ostentava un formale omaggio alla Chiesa, e che invece, al riparo da un linguaggio letterario a doppio taglio, esoterico, la additava al disprezzo, auspicando, al contempo, l'avvento d'una figura in grado di restaurare la purezza del messaggio evangelico.
Queste interpretazioni furono sempre rigettate come bislacche; per me non lo sono. Anzi, mi colmano di gioia; e di felicità; seppur fossero false. Leggendo di questi uomini, persi nei cunicoli folli della storia:  uomini a volte meschini, a volte nobili; ora traditori e servili, altre solitari e tetragoni contro il vento delle epoche; di fronte a tali sofferenze, a tali pensieri smisurati, a tali incroci di mondi, filosofie e passioni, non posso che provare il sentimento vertiginoso e smisurato della meraviglia. E non è la sempre risorgente meraviglia l'origine dell'amore per la conoscenza?

Traduzione e note di Francesco Zambon.

* * * * *

Non voglio più tardare né esitare ancora
a comporre un sirventese su questa melodia che mi piace;‎
eppure non ho dubbi che mi procurerà sentimenti ostili
perché questo sirventese tratta
dei falsi e dei perfidi
di Roma, che è alla testa della decadenza
in cui degenera ogni bene.‎

Non mi stupisco, Roma, se la gente cade in errore,‎
perché hai gettato il mondo in tormento e in guerra
e pregio e pietà muoiono a causa tua e sono sotterrati,‎
Roma ingannatrice,‎
di tutti i mali guida,‎
cima e radice: tanto che il nobile re d'Inghilterra
è stato da te tradito.‎

Roma bara, la cupidigia ti acceca:‎
alle tue pecorelle tondi troppo la lana.‎
Lo Spirito Santo che assunse carne umana
ascolti le mie preghiere
e spezzi il tuo becco.‎
Roma, non ti darò tregua: perché sei falsa e perfida
con noi e con i Greci.‎

Roma, ai deboli di mente tu rodi la carne e le ossa
e guidi i ciechi con te dentro alla fossa;‎
trasgredisci i comandamenti di Dio, tanto grande
è la tua cupidigia:‎
in cambio di denaro
perdoni i peccati. Roma, di un pesante fardello
di male ti carichi.‎

Roma, sappi che il tuo vile mercato‎
e la tua follia hanno causato la perdita di Damietta.‎
Male ti comporti, Roma; Dio ti abbatta
e ti mandi in rovina,‎
perché ipocritamente
ti comporti per denaro, Roma di vile razza
e violatrice di patti.‎

Roma, davvero io so con assoluta certezza‎
che sotto parvenza di falso perdono
hai mandato al supplizio la nobiltà di Francia,‎
lontano dal paradiso,‎
e che hai ucciso,‎
Roma, il nobile re Luigi: perché con false prediche
lo hai attirato fuori di Parigi.‎

Roma, ai Saraceni fai ben poco danno,‎
ma Greci e Latini li mandi al massacro.‎
Nel fuoco dell'abisso, Roma, hai eletto dimora,‎
nella perdizione.‎
Dio non mi faccia mai partecipe,‎
Roma, del perdono e del pellegrinaggio
che hai fatto ad Avignone.‎

Roma, senza ragione hai ucciso molta gente
e non mi piace affatto la via tortuosa che segui,‎
perché alla salvezza, Roma, sbarri la porta.‎
Ha una pessima guida
in estate come in inverno
chi segue le tue orme, perché il diavolo lo trascina
nel fuoco dell'inferno.‎

Roma, è facile dirti il male che meriti,‎
dato che per scherno martirizzi i cristiani;‎
ma in quale libro trovi scritto che si debbano uccidere,‎
Roma, i cristiani?‎
Dio, che è il pane vero
e quotidiano, mi conceda di veder capitare
ciò che desidero ai Romani.‎

Roma, sei stata veramente assai sollecita
negli ipocriti perdoni che hai concesso a danno di Tolosa:‎
ti rodi le mani alla maniera di una rabbiosa,‎
Roma seminatrice di discordia.‎
Ma se il valoroso conte
vive ancora due anni, la Francia avrà motivo di dolersi
dei tuoi inganni.‎

Roma, è così grande il tuo tradimento
che provochi il disprezzo di Dio e dei suoi santi;‎
ti comporti cosi male, Roma falsa e perfida,‎
che per te sparisce,‎
diminuisce e si dissolve
la gioia di questo mondo. E fai un grave oltraggio
al conte Raimondo.‎

Roma, Dio aiuti e dia potere e forza
al conte che tonde i Francesi e li scortica,‎
calpestandoli sotto i suoi piedi quando li affronta:‎
che gioia per me!‎
Roma, Dio si ricordi
dei tuoi grandi torti; e gli piaccia sottrarre il conte
a te e alla morte.‎

Roma, mi consola il fatto che tra poco‎
andrai a finire male se il giusto Imperatore
segue senza deviare il suo destino e fa quello che deve.‎
Roma, in verità lo dico,‎
vedremo decadere
la tua potenza: Roma, il vero Salvatore
mi conceda di vederlo presto.‎

Roma, per denaro tu compi molte azioni spregevoli,‎
molte insolenze e molte vigliaccherie.‎
Tale è la tua smania di dominare il mondo
che nulla temi,‎
né Dio né i suoi divieti:‎
anzi vedo che fai dieci volte più male
di quanto io non sia in grado di dire.‎

Roma, tu stringi cosi forte i tuoi artigli,‎
che ciò che puoi afferrare difficilmente ti sfugge;‎
se al più presto non perdi la tua potenza, in trappola
sarà caduto il mondo:‎
sarà morto e sconfitto
e il pregio distrutto. Roma, il tuo papa
fa di questi miracoli.‎

Roma, Colui che è Luce del mondo, vera vita
e vera salvezza, ti mandi in malora,‎
perché tanti e cosi risaputi sono i tuoi misfatti, da far
gridare il mondo.‎
Roma sleale,‎
radice di ogni male,‎
nel fuoco infernale brucerai senza scampo,‎
se non cambi rotta.‎

Roma, meriti biasimo a causa dei tuoi cardinali
per i criminali peccati di cui fanno parlare,‎
perché non pensano se non a come poter rivendere
Dio e chi lo ama;‎
e a nulla serve correggerli.‎
Roma, è disgustoso ascoltare e sentire
le tue prediche.‎

Roma, sono indignato perché il tuo potere aumenta
e grande angoscia per causa tua ci opprime tutti:‎
sei rifugio e fonte di inganno, di vergogna
e di disonore.‎
I tuoi pastori
sono impostori e falsi, Roma, e chi li frequenta
fa davvero una cosa insensata.‎

Roma, male agisce il papa quando contende
all'imperatore il diritto alla corona,‎
lo dichiara in errore e concede il perdono ai suoi nemici:‎
un simile perdono
non conforme a ragione,‎
Roma, è ingiusto; e chi lo giustifica
si copre di vergogna.‎

Roma, il Glorioso, che per noi soffrì mortale dolore‎
sulla croce, ti dia cattiva sorte,‎
perché vuoi sempre portare la borsa piena,‎
Roma di malaffare,‎
che hai il cuore tutto‎
volto al guadagno: per questo la cupidigia ti trascina
nel fuoco inestinguibile.‎

Roma, dal rancore che porti nella gola
nasce il succo di cui muore e si strangola lo sventurato
sentendo in cuore dolcezza; perciò il saggio trema
quando riconosce e distingue
il mortale veleno
‎(e da dove viene: Roma, dal cuore ti cola!)‎
di cui sono colmi i petti.‎

Roma, si è sempre sentito raccontare‎
che la tua testa è vuota perché la fai spesso rasare.‎
Per questo penso e credo che bisognerebbe strapparti,‎
Roma, il cervello
perché un cappello d'infamia
portate tu e Cìteaux, che a Béziers avete ordinato
uno spaventoso massacro.‎

Roma, con esca ingannatrice tu tendi la tua rete
e mangi molti bocconi maledetti, chiunque ne sia vittima,‎
perché sotto il tuo innocente aspetto di agnello
si nascondono lupi rapaci,‎
serpenti coronati
nati da vipera: per questo il diavolo li accoglie
come suoi intimi.‎

Note


[Guilhelm Figueira], tolosano di origine e sarto di professione, secondo la vida antica Guilhem Figueira avrebbe abbandonato la sua città quando essa cadde in mano ai Francesi (11 aprile 1229) e si sarebbe trasferito in Lombardia; a Tolosa compose questo celebre sirventese fra il 1227 e il 1229. 

1-2: Lo schema metrico della poesia e con ogni probabilità anche la sua melodia sono quelli della canzone mariana Flors de paradis, regina de bon aire.

9: Si allude naturalmente alla Crociata contro gli Albigesi.

13-14: Giovanni Senzaterra, il cui nipote Ottone di Brunswick era stato scomunicato e deposto dal trono di Germania a favore di Federico II.

17: La definizione di Cristo come Spirito Santo incarnato potrebbe rivelare un influsso della dottrina catara.

37: Riferimento all'indulgenza concessa dalla Chiesa ai nobili francesi che prendevano parte alla Crociata albigese.

40-42: Il trovato re allude a Luigi VIII, che morì a Montpensier il 2 novembre 1226, subito dopo la presa di Avignone.

68: Raimondo VII di Tolosa.

78-81: Quando Guilhem Figueira scriveva, il conte Raimondo non si era dunque ancora arreso ai Francesi (11 aprile 1229).

86: L'imperatore Federico II, dal quale il trovatore spera sostegno alla causa tolosana.

127-128: Nel conflitto tra Federico II e il papa Gregorio IX, Figueira - su posizioni che si potrebbero definire "ghibelline" ante litteram - si schiera decisamente a favore dell'imperatore.

152: Il senso è: "avete una pessima reputazione", con allusione ai cappelli infamanti che erano obbligati a portare alcuni condannati.

153-154: La responsabilità del massacro compiuto a Béziers il 22 luglio 1209 (le fonti indicano tra le 7.000 e le 20.000 vittime) ricade essenzialmente sulle spalle dell'abate cistercense Arnaut Amalric, che comandava l'esercito crociato e che, secondo il cronista tedesco Cesario di Heisterbach, non potendo distinguere fra eretici e cattolici, avrebbe pronunciato la terribile frase: "Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi".

157-158: Questa immagine (che risale a luoghi evangelici come Mt 7,15 e Lc 6,44) era corrente nel medioevo. I Catari la usavano nella loro polemica antiromana; cfr. per esempio il trattato apologetico La Chiesa di Dio: ,,[La Chiesa romana] perseguita e assassina chiunque non voglia acconsentire ai suoi peccati e alle sue azioni. Essa non fugge di città in città, ma domina le città, i borghi e le province e siede maestosamente nelle pompe di questo mondo; ed è temuta dai re, dagli imperatori e dagli altri signori. Non è affatto come le pecore fra i lupi, ma come i lupi fra le pecore e i capri [ ... ]. Soprattutto, perseguita e assassina la santa Chiesa di Cristo, la quale sopporta tutto con pazienza, come fa la pecora che non si difende dal lupo. Eppure, in contrasto con tutto ciò, i pastori della Chiesa romana non si vergognano di dire che sono loro le pecore e gli agnelli di Cristo; e dicono che la Chiesa di Cristo, quella che perseguitano, è la Chiesa dei lupi. Ma questa è una cosa assurda, perché una volta i lupi perseguitavano e uccidevano le pecore.
Bisognerebbe che oggi tutto andasse alla rovescia perché le pecore fossero diventate tanto feroci da mordere, inseguire e uccidere i lupi".

159: I serpenti coronati sono i vescovi e i prelati che portano la corona, cioè la mitria; per il riferimento alla "razza di vipere", cfr. Mt 3,7 e Ld,7.

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