venerdì 4 settembre 2015

La poesia del venerdì - Jean-François Lacenaire, Sogni d'un condannato a morte

Questa è la poesia di un assassino. E di un ladro. Jean-François Lacenaire (1804-1836) fu ladro e assassino, e con parecchio successo. Divenne una celebrità. Sin alla sua morte per decapitazione, infatti, egli assurse a simbolo della lotta contro il potere costituito; la sua cella divenne un salotto letterario; Flaubert, Proust, Balzac, Stendhal, Gautier, Corbière, Lautréamont, Breton (che lo antologizzò nel famigerato Antologia dello humor nero) e il regista Marcel Carné (Lacenaire appare nel capolavoro Les enfants du Paradis) furono, più o meno velatamente, influenzati dalla sua figura.
Perché tale clamore? In fondo i delitti per cui venne condannato Lacenaire erano piuttosto ordinari: l'anziana signora Chardon e suo figlio. E allora? Filopauperismo e frontismo sociale ebbero la loro parte, ma probabilmente fu la gratuità  e la ferocia del tutto a esaltare i lineamenti del lionese sino al più fascinoso diabolismo: gli omicidi non vennero eseguiti per lucro (in casa delle vittime vennero reperiti oggetti di scarso valore); Lacenaire e i complici (Victor Avril e François Martin) tennero un comportamento assolutamente distaccato e insultante; la vecchia Chardon fu torturata con gusto: ferita non mortalmente, fu ricoperta da un pesantissimo strato di materassi e coperte e lasciata lì agonizzante, per circa quaranta ore. Fu un atto gratuito, futile, e profondamente anarchico: i delitti di Raskol'nikov in Delitto e castigo, e di Lafcadio ne I sotterranei del Vaticano erano ancora lontani (1866 e 1914 rispettivamente), ma evidentemente l'aria era già satura dei tempi a venire e gli intellettuali francesi possedevano un naso fine. 
Era la vera fine dell'Ancien Régime morale. Lacenaire fu uno degli apripista della modernità.
Solo Charles Manson, a sua volta artista (è autore di ottimi dischi folk), può debolmente rievocare il clamore suscitato dal Lacenaire ottocentesco. Con tale differenza: Manson non ha mai ucciso nessuno.

Quanto si è felici sognando! …
Da svegli sognare è stupendo,
in meno di un’ora finisco
il più gradevole romanzo.
Creo tutto un mondo a modo mio,
ogni cosa buona è per me,
perciò non mi viene mai in mente
di scegliermi il ruolo di re.

Nel mio ritiro solitario
poco curando l’avvenire,
mi nutro della mia chimera
mescolando ad essa un ricordo.
Bei sogni della giovinezza,
che la sorte non ha sciupato,
rallegrate la mia vecchiaia
siamo vecchi quando si muore.

Spesso in un palazzo superbo
raduno mille donne belle;
più sovente steso sull’erba
non ho che la mia Lisa accanto;
la stoffa che il seno solleva
mio malgrado mi fa sognare,
che peccato che questo sogno
tocchi completarlo da solo.

Ecco, in un’umile casetta
padre lieto e tenero sposo,
ho vicino a me la mia mamma
e i miei figli sulle ginocchia:
all’ombra di un folto boschetto
leggo o scrivo di volta in volta,
ma sopraggiunge un temporale.
Perché il mio sogno è così corto?

Poi d’un tratto cambio esistenza
In carrozza arrivo a Parigi,
sono ricco e la mia opulenza
mi attira numerosi amici.
Questo Pilade mi accarezza:
è il denaro che l’ha attirato?
Credo invece alla tenerezza,
è così dolce essere amato!

Fedele alla mia musichetta
Ripeto i più gai ritornelli
E vicino alla mia Lisetta
Trascorro giorni puri e belli.
Con ciò che il caso mi fa avere
Do soccorso allo sventurato;
mangiando mi piace sapere
che il povero accanto ha pranzato.

E così in questa vita mia
Seppi raccoglier qualche fiore;
ahimè, se è stata una follia
essa mi ha rallegrato il cuore!
Questo desidero sognare
all’arrivo dell’ultim’ore:
alla piazza del Greto (1) incontrare
amicizia, poesia e amore.

La Conciergerie, 22 novembre

(1) Piazza del Greto era luogo di esecuzioni pubbliche.

Da Memorie di un assassino, 1994 (traduzione di Alberto Beretta Anguissola)

Nessun commento:

Posta un commento