sabato 17 ottobre 2015

La poesia della domenica - P. B. Shelley, Non sollevare quel velo dipinto ...

Percy Shelley fu uomo complesso, vasto, quasi insondabile.
Compresse in pochi decenni ciò che centinaia di migliaia di individui non riescono ad attingere, se non in minima parte, in tutta la loro vita.
Fu amante della libertà, rivoluzionario e ateista (sulle orme materialistiche del filosofo William Godwin, padre della moglie Mary): per questo pagò con l'ostracismo accademico e la vergogna sociale; fu, però, prima d'ogni altra cosa devoto al bello; era il bello ciò ch'egli ricercava incessante in ogni attimo della propria esistenza, elevata a opera d'arte: la letteratura e la filosofia classiche (in cui eccelleva), la pittura e il paesaggio italiani, il secolo d'oro spagnolo (tradusse Calderon) - ogni manifestazione del genio umano lo attirava irresistibile poiché, traverso d'esso, bramava qualcosa d'inesprimibile e assolutamente meraviglioso che desse senso ai penosi andirivieni terreni.
Tale attitudine naturale, in contrasto colla formazione scientifica (in fondo il Frankenstein di Mary Shelley è Percy Bysshe Shelley), lo portò irresistibilmente a elaborare una sorta di personalissimo (neo)platonismo, ovvero un sentimento del sublime che cerca di ritrovare la perfezione sotto le spoglie della realtà.
Il punto in questione è: in Shelley tale anelito è puramente estetico o anche filosofico?
Probabilmente solo estetico. Shelley sapeva l'amara verità sul mondo, la finitezza e la sofferenza dell'uomo; quell'ansia spirituale - il platonismo - non era che una consolazione propria all'arte più alta: la poesia.
In tal modo cadrebbe ogni contrasto fra il primo Shelley - ateo o, almeno, agnostico - e le accensioni della produzione più tarda, quasi mistiche.
La bellissima poesia Lift not the painted veil sembra confermare tale interpretazione.  
La Vita non è che un rutilante velo di Maia che irretisce l'uomo, soggiogato dai destini gemelli della Paura (della morte) e della Speranza (in un mondo ultraterreno) - un velame sotto il quale si cela solo "un abisso cieco e desolato"; il poeta stesso, come uno splendido e impavido Angelo, ebbe l'ardire di sollevarlo, ma nulla trovò, nulla, nemmeno una parvenza di verità: una sorta di mito della caverna nichilista e privo d'ogni conforto.
Shelley, assieme a Leopardi e Keats, fu uno dei maggiori lirici dell'Ottocento europeo; forse il più grande. Sopravvissuto - in Italia - a sbrigative svalutazioni nonché a edizioni sciatte e incomplete, avrà, nel 2016, un parziale risarcimento: un Meridiano Mondadori riveduto e accresciuto (a cura di Francesco Rognoni) si poserà sulle stracche scaffalature delle nostre librerie.
60 euri ben spesi.


Non sollevare quel velo dipinto, quel che i viventi
chiamano Vita: per quanto forme irreali vi sian ritratte
e tutto quello che vorremmo credere
vi sia imitato a colori capricciosamente,
dietro stanno in agguato Paura e Speranza,
Destini gemelli, che tessono l'ombre in eterno
sopra l'abisso cieco e desolato. Un tempo
conobbi un uomo che l'aveva sollevato: cercava
col cuore suo tenero e sperduto
qualcosa da amare, ma, ohimé, non ne trovò,
né trovò nulla di ciò che il mondo tiene
cui poter dare la propria approvazione.
Passò in mezzo alla folla distratta, splendore
in mezzo alle ombre, una macchia di luce
su questa lugubre scena, uno Spirito in lotta
per giungere a cogliere il Vero,
ma come il Predicatore, egli non lo trovò.

1 commento:

  1. Grazie Vlad di riportare alla nostra attenzione simili personaggi dell'Arte

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