venerdì 9 ottobre 2015

Mvl teatro: al Vascello Tre sorelle e un "grande fratello"



Maria Cristina Reggio


Tre sorelle con un destino comune:  una vita, anzi, una Villa dolorosa. Questo è infatti il titolo dello spettacolo inaspettatamente brillante  (a dispetto del titolo) di Roberto Rustioni che conclude la XXII edizione di Le vie dei Festival e contemporaneamente apre la nuova stagione del Teatro Vascello di Roma. Queste "Tre sorelle" hanno gli stessi nomi Olga, Mascha e Irina, delle protagoniste dell'omonimo dramma che Cechov scrisse all'alba del 1900, e hanno un pure un Andrej come fratello, ma condividono (come suggerito palesemente dal titolo) con quelle che potrebbero essere state le loro bisnonne uno stesso sentimento, il dolore di vivere. L'autrice di questa riscrittura contemporanea della pièce cechoviana è una giovane drammaturga tedesca classe 1974, Rebekka Kricheldorf, che trasforma i russi figli orfani di un generale di provincia in altrettanti figli di una coppia di intellettuali tedeschi, morti da poco in un incidente stradale e proprietari di una villa in rovina. La morte dei genitori sovrintende sulla vita dei figli a loro sopravvissuti, giovani e non più giovani, con nomi e destini simili a quelli dei loro modelli di inizio Novecento.

Il testo, scritto sulla traccia dell'originale russo, ne dilata alcuni temi, come la festa di carnevale che apriva il dramma e che diventa una festa di compleanno di Irina ripetuta per tre anni successivi e ne prosciuga altri, come i personaggi esterni alla famiglia che diventano solo due, un maschio Georg (lo stesso regista, Roberto Rustioni), il maschio fascinoso emblematico e sorprendente per quella famiglia e una femmina, Janine, anch'essa in qualche modo paradigmatica di una femminilità estranea al nucleo famigliare. Nella regia di Rustioni, che con questa opera continua il suo percorso di ricerca su Anton Cechov, iniziato qualche anno fa con i Tre atti unici, e proseguito all'interno di un percorso laboratoriale sfociato in questo spettacolo, il testo ambientato in Germania si impregna dell'esperienza vissuta da un gruppo di giovani della capitale con il loro strascinato linguaggio romano fino a diventare lo squarcio spazio-temporale di vita di un piccolo gruppo di ragazzi, tanto simile alla vita vera da ricordare agli spettatori la formula conosciuta del "grande fratello" o di una probabilissima e poco esotica "isola dei famosi".  E in effetti il paragone non è casuale: lo stile della recitazione improntato a un forzato realismo linguistico privilegia il turpiloquio che caratterizza l'ostentata povertà di linguaggio tipica di quei reality televisivi in cui una finta realtà si esibisce al posto dell'autentica finzione teatrale per testimoniare la necessità di coloro che vi partecipano, di esistere, come personaggi, almeno nella rappresentazione.

Le "sorelle"che improvvisano per la platea le loro danze etiliche su corredo di musica dello "stereo" lanciata "a palla" ricordano le stesse danze compiute dai personaggi dei reality di  fronte all'occhio vigile e vertoviano della telecamera e il loro balletto apparentemente compiuto in solitudine come  di fronte a uno specchio è fatto consapevolmente per essere goduto da un pubblico televisivo di una telecamera nascosta, indulgente e divertito di fronte alle storture di una goffa danza improvvisata, come pure le battute divertentissime di una comica Olga, brava e icastica come il personaggio comico di un varietà televisivo. A parte qualche banalità di routine ormai in molti spettacoli contemporanei come le inutili proiezioni video e l'intrusione fastidiosa di alcuni inserti musicali pop ad alto volume, questi frammenti di dolorosa vita famigliare cechoviana colpiscono con efficacia gli spettatori a cui si rivolgono attraverso la sottigliezza comica che, nello scoppio delle sommesse risate svela, nel dipanarsi di situazioni tanto conosciute quanto quotidiane, la difficoltà degli affetti, delle relazioni umane e delle scelte di una vita vuota, inutile, straziata.  

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